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martedì 15 dicembre 2020

Marco Tuttolomondo

Oggi vi proponiamo la storia di Marco, rider 49enne di Palermo che ha vinto la causa legale ed П stato assunto come lavoratore dipendente.


Con i suoi capelli brizzolati e la barba bianca, non rispecchia l’immagine tipica del rider, il fattorino che siamo abituati a vedere sfrecciare nelle nostre città per portarci il cibo a domicilio, di solito giovane e spesso straniero. Eppure Marco Tuttolomondo, 49 anni, di Palermo, è diventato il simbolo, vincente, delle lotte che i rider hanno ingaggiato da tempo con le multinazionali del food delivery per vedersi riconoscere diritti e tutele.

Lo scorso novembre infatti il tribunale di Palermo con una sentenza clamorosa ha ordinato a una di queste multinazionali, la spagnola Glovo, di assumere Marco come dipendente subordinato a tempo indeterminato con inquadramento di sesto livello del contratto collettivo del terziario.

Tuttolomondo era stato disconnesso a marzo dall’app con cui si gestiscono le consegne per non essere riuscito a versare l’incasso del giorno senza poter spiegare a nessuno il problema in cui era incappato. Perché lavorare nella gig economy, gestiti da oscuri algoritmi con la pretesa di oggettività, significa non avere nessuna controparte «umana» con cui relazionarsi. E in caso di problemi, anche irrisori, con il rider di turno, perché sforzarsi per trovare una soluzione? Basta un clic ed ecco che il lavoratore viene comodamente licenziato e avanti un altro, tanto c’è la fila, no? Marco però non si è rassegnato al suo licenziamento «innovativo», e ha deciso di far valere i suoi diritti in tribunale, sospettando che il suo licenziamento potesse essere legato anche alla sua attività sindacale, rischiando così di perdere l’unico lavoro con cui mantiene se stesso e la moglie. «Non ho lavorato, e non ho incassato quindi nulla, da marzo a giugno», ci racconta Marco. «In quel periodo, a maggio, mi è anche arrivata una mail dell’azienda che suonava come una beffa, c’era scritto: abbiamo notato che non lavori più per noi, non sappiamo il motivo della tua scelta, se vuoi tornare a far parte del nostro team devi versarci 200 euro». Ovviamente Marco non ha versato nulla, anche volendo quei soldi non li aveva, visto che nel frattempo aveva lasciato la casa in cui viveva per l’impossibilità di pagare l’affitto e si era trasferito dalla suocera, ed è andato avanti con la causa supportato dalla Nidil Cgil fino all’esito finale che lascia sperare tutti gli addetti della gig economy privi di tutele, perché i legislatori non hanno interesse evidentemente ad aggiornare la normativa adattandola ai tumultuosi cambiamenti del lavoro.

Che cosa rende questa sentenza coraggiosa così innovativa e «storica»? È la prima volta in Italia, ma è già successo in altri Paesi europei, che a un fattorino viene riconosciuto lo status di dipendente anziché di lavoratore autonomo. La Cassazione lo scorso gennaio aveva riconosciuto ai rider alcune tutele del lavoro dipendente, ma senza ravvisare il pieno vincolo di subordinazione. Adesso Marco Tuttolomondo godrà di ferie, malattia e paternità pagate e riceverà anche gli arretrati calcolati sulla differenza tra quello che prendeva quando lavorava a cottimo e quello cui ha diritto in quanto lavoratore dipendente. Inoltre, come ha osservato uno degli avvocati che ha seguito il caso, Carlo De Marchis, questa sentenza mette sotto accusa l’intero modello dell’economia digitale che tende verso il cottimo, abolito in Italia durante le lotte operaie, e verso una spersonalizzazione dei rapporti di lavoro a tutto svantaggio di un’unica parte, quella più debole, quella di chi ha bisogno di lavorare per sopravvivere. Grazie Marco per aver restituito con la tua lotta un po’ di diritti a tutti noi.



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