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martedì 29 luglio 2025

Bikelash: quando la bici scatena reazioni ostili

 Non ce ne vogliano i puristi della lingua italiana, ma “bikelash” è un termine anglosassone sempre più diffuso per descrivere un fenomeno ben noto a chi si muove in bici: la reazione avversa alla mobilità ciclabile. Lo vediamo ogni volta che si inaugura una nuova ciclabile o si limita il traffico: “Ci tolgono parcheggi!”, “Creano ingorghi!”. Questo è bikelash.

Il termine nasce dalla fusione di bike (bicicletta) e backlash (contraccolpo, reazione negativa). In italiano potremmo tradurlo con “ostilità verso i ciclisti” o “rigetto della ciclabilità”. È una risposta di resistenza – spesso rumorosa – al cambiamento verso una mobilità più sostenibile.

I volti del bikelash

Durante l’ultima edizione di Velo-city a Danzica, abbiamo intervistato Piotr Kuropatwinski, economista e storico attivista per la mobilità attiva. Secondo lui, il bikelash si manifesta su più livelli:

  • Media e narrazione tossica: chi promuove la mobilità attiva viene etichettato come ideologico o radicale. I ciclisti? Visti come poveri, pericolosi o “nemici” degli automobilisti.

  • Opposizione politica: alcuni amministratori bloccano interventi per difendere la “libertà di movimento”, intesa però solo come libertà di usare l’auto.

  • Timori locali: commercianti che temono cali di clientela, spesso senza dati alla mano.

  • Disinformazione online: post e commenti che ridicolizzano chi va in bici, accusandolo di essere povero, single, o incapace di guidare.

Eppure, i benefici della ciclabilità sono supportati da studi e dati: meno traffico, più qualità dell’aria, aumento del commercio di prossimità, città più vivibili per tutti – non solo per chi pedala.

Serve un cambio di approccio

Per contrastare il bikelash non bastano le piste ciclabili: servono politiche coraggiose, buona comunicazione e coinvolgimento della comunità. Kuropatwinski suggerisce di partire da una comunicazione empatica, ispirata al “linguaggio della giraffa” ideato da Marshall Rosenberg, simbolo di ascolto, empatia e visione a lungo termine. Da evitare invece il “linguaggio dello sciacallo”: accusatorio, giudicante, divisivo.

È importante non cadere nella trappola della polarizzazione (“ciclisti vs automobilisti”) ma creare alleanze con commercianti, scuole, medici, famiglie. Quando la mobilità attiva viene percepita come bene comune, l’opposizione perde forza.

Contare per contare di più

Un esempio efficace viene proprio da Danzica, dove sono stati installati contatori pubblici del traffico ciclabile. I dati mostrano una crescita costante (+12% in un anno), sfatando il mito che “nessuno va in bici”.

La conclusione? Non basta pedalare, serve anche raccontare bene perché lo facciamo. La bicicletta non è solo un mezzo di trasporto, è uno strumento di cambiamento. E come dice Kuropatwinski citando Rosenberg:

“Abbi un cuore come quello di una giraffa. E ricorda, la giraffa può raggiungere luoghi che nessun altro può raggiungere.”



Bikelash: When Bicycles Face Backlash

Purists of the Italian language might cringe, but bikelash—a blend of bike and backlash—has made its way into everyday language to describe a very real phenomenon: hostility towards cycling and active mobility. If you've ever heard complaints when a new bike lane opens—“They’re taking away our parking!” or “It’s causing traffic!”—that’s bikelash.

It’s the pushback that arises whenever cities try to shift space from cars to people, often led by a loud minority, while a quieter majority remains supportive or indifferent.

What Does Bikelash Look Like?

At the recent Velo-city conference in Gdańsk, we spoke with Piotr Kuropatwinski, economist and longtime cycling advocate, who broke down the different faces of bikelash:

  • Toxic media narratives: Framing cycling policies as ideological; portraying cyclists as obstacles, radicals, or just too poor to drive.

  • Political resistance: Local governments opposing bike infrastructure in the name of “freedom of movement”—a code for car-centric policies.

  • Local pushback: Business owners fearing (often without evidence) that bike lanes will hurt their bottom line.

  • Online hostility: Anti-bike comments reducing cyclists to stereotypes—young, poor, childless, or simply “anti-car.”

Despite this resistance, the benefits of cycling infrastructure are well-documented: less traffic, cleaner air, healthier communities, and even improved local business.

Fighting Bikelash with Empathy and Facts

According to Kuropatwinski, tackling bikelash means more than just laying down bike lanes—it requires smart policies and thoughtful communication.

He draws from nonviolent communication, particularly the work of Marshall Rosenberg, who uses the metaphor of the giraffe language (empathetic and long-sighted) vs the jackal language (judgmental and aggressive). Cycling advocates, he warns, should avoid mirroring the hostility they face online. Dismissing all drivers as the enemy only fuels division.

Instead, the goal is to build bridges: work with local businesses, schools, healthcare workers, and parents to show how cycling benefits everyone—not just “cyclists.”

“If We’re Not Counted, We Don’t Count”

A powerful example comes from Gdańsk, where the city installed bike counters in multiple locations. The data—shared publicly—shows consistent year-over-year growth (12% last year alone), helping to dismantle the myth that “nobody bikes.”

Shift the Narrative, Not Just the Infrastructure

The cycling movement needs to change the story, not just the streets. That means highlighting real-life benefits, backing claims with data, and avoiding the trap of “cyclists vs drivers.” Cities are for everyone. And as Piotr reminded the crowd at Velo-city, quoting Rosenberg:

“Have a heart like a giraffe. And remember—the giraffe can reach places no one else can.” 

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