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martedì 8 dicembre 2020

Lo sapevi che ...

... Il segreto dell’evoluzione darwiniana delle macchine è una bicicletta?

Al London Science Museum è possibile ammirare la Rover safety bicycle originale del 1885, la prima bicicletta moderna sostanzialmente uguale a quelle di uso comune ancora oggi. Grazie alle pubblicità dell’epoca conosciamo anche il prezzo: dodici sterline (circa 1.500 sterline di oggi attualizzando con il costo della vita ma, in realtà, molto di più considerando la distribuzione della ricchezza). La Rover, la stessa società che produce automobili, iniziò così la propria storia, anche se l’idea stessa di bicicletta, nomenclatura a parte, nasceva ben prima, nel 1817. Lo sviluppo della bicicletta aveva già raggiunto una sua prima maturità con diversi salti tecnologici. E le cronache dell’epoca ci permettono di parlare di un primo boom commerciale già negli anni sessanta e settanta dell’Ottocento. Ma è interessante andare ad analizzare cosa accadde alle cosiddette «penny-farthing», quelle biciclette con una ruota posteriore molto piccola e quella anteriore abnorme (il nome viene dal confronto con le due monete inglesi, il penny e il minuscolo conio farthing dell’epoca). Di fatto, utilizzando il linguaggio della biologia, si trattava di esemplari della stessa specie: due ruote in asse, stessa funzione e anche stessa tecnologia, quella dei pedali, aggiunta dalla Michaux et Cie nel 1861. Eppure nel giro di pochissimo, una sola generazione commerciale, le «penny-farthing» si estinsero, letteralmente. Il nome della prima bicicletta moderna, safety bicycle, una sapiente trovata di marketing, spiega il perché.

I precedenti esemplari della specie bicicletta non solo erano inefficienti, ma risultavano anche estremamente pericolosi. Gli incidenti erano un’occupazione quotidiana dei giornalisti dell’epoca. Le cronache e i dibattiti cittadini se ne occupavano spesso. Nel 1869 il Conte Giulio Belinzaghi, al tempo sindaco di Milano, ne vietava l’uso all’interno della cerchia dei Navigli. Le «cavalcature d’acciaio», copyright dei giornali di allora, spaventavano e ferivano i pedoni. Non sappiamo se Charles Darwin (1809-1882) abbia mai visto dal vivo una bicicletta. Ma una bicicletta di Darwin esiste: è quella dell’evoluzionismo tecnologico. Se ne era accorto anche un contemporaneo del naturalista di Cambridge: Samuel Butler. Celato sotto lo pseudonimo di Cellarius, Butler fu l’autore dell’articolo «Darwin among the machines», Darwin tra le macchine, pubblicato nel 1863 sul giornale neozelandese The Press, solo quattro anni dopo l’uscita de «L’origine delle specie» (1859). I passaggi, sviluppati poi per il libro anonimo «Erewhon» (stesse lettere di Nowhere, da nessuna parte), appaiono ancora oggi inquietanti per la capacità di anticipare i dibattiti, tanto che se ne dovrebbe considerare la riedizione ragionata: «Ci riferiamo alla domanda: quale tipo di creatura sarà probabilmente il prossimo successore dell’uomo nella supremazia della Terra? Abbiamo sentito spesso discuterne, ma ci sembra che stiamo creando noi stessi i nostri successori, (...) diamo loro ogni giorno un potere maggiore e forniamo con ogni sorta di ingegnosi congegni quel potere autoregolante e autoagente che sarà per loro ciò che l’intelletto è stato per la razza umana. Nel corso dei secoli ci troveremo la razza inferiore». Sempre in questo testo Butler anticipa anche l’ipotesi che, grazie al processo darwiniano, le macchine possano sviluppare nel tempo una propria coscienza e auto-riprodursi.

La storia e i ragionamenti dello stesso Butler implodono in realtà in un violento luddismo, tanto che «Erewhon» è un mondo dove tutte le macchine degli «ultimi 300 anni» sono state distrutte e la riflessione sulla necessità di bloccare la singolarità ante litteram, cioè il superamento della specie macchina sulla specie umana, viene scovata dal protagonista in un vecchio libro denominato «Book of the machines» (un libro nel libro, classico trucco da scrittori). Inoltre, secondo alcuni critici, l’opera di Butler è una parodia mascherata dell’era vittoriana e della fiducia riposta nella rivoluzione industriale. Questo nulla toglie alla felice intuizione dell’autore di usare l’evoluzionismo come chiave interpretativa dello sviluppo tecnologico. Dall’abaco ai supercomputer e agli attuali risultati del machine learning, la tentazione di affidarsi al darwinismo tecnologico è alta. Dai segnali di fumo a Internet le suggestioni appaiono infinite. Ma se l’applicazione di questo schema appare affascinante nel caso dell’intelligenza artificiale — dove però c’è il pericolo che il dibattito sia più emotivo che scientifico — la sua efficacia risulta più chiara e meno a rischio di ideologismi proprio con la storia delle due ruote. La bicicletta è un esempio di adattamento continuo e di sottospecie che muoiono mentre altre emergono, trasmettendo la propria superiorità «genetica».

Inventata, com’è noto, dal conte Drais nel 1817 (un esempio di geniale «ricerca applicata»), la bici affrontò il primo salto di specie nel 1861 con Pierre Michaux, un fabbro francese che ebbe l’intuizione di aggiungere i pedali. La vecchia draisina, che richiedeva ancora un faticoso e poco redditizio uso della spinta delle gambe come forza motrice diretta, si avviò così verso l’estinzione veloce, rimanendo solo come giocattolo per i bambini. Il modello «penny-farthing» determinò il primo vero boom del mezzo. Fino all’arrivo del modello Rover che, grazie alla trasmissione della catena, non richiedeva più una ruota enorme per aumentare la distanza percorsa con ogni giro completo di pedale. Un altro salto di specie della macchina avvenne con l’introduzione del freno. Sembra che siano stati i fratelli Wright a inventare quello a contropedale: Orville e Wilbur avevano aperto un negozio di biciclette a Dayton, la Wright Cycle Company. E non è privo di fondamento dire che il loro impegno con la meccanica delle biciclette abbia anche influenzato gli esperimenti sui primi voli. Se si analizza lo schema storico del progresso tecnologico ciò che emerge, come ulteriore punto di contatto con la biologia, è il procedere per continue frenate e accelerazioni (sviluppo di un’idea, esplosione dei problemi che ne limitano la diffusione, introduzione non lineare della soluzione grazie ai «bottoni neurali o dell’innovazione» , tipicamente l’incontro multidisciplinare di più tecnologie, come nel caso dei pedali che già esistevano e di cui si trova traccia anche nei disegni di Leonardo da Vinci. O come nel caso, per appunto, del bottone che incontra l’asola, diventando una tecnologia perfetta ancora oggi in suo).

D’altra parte anche i più recenti studi dello scienziato americano Carl Woese sugli archeobatteri e sulla trasmissione orizzontale dei geni nello sviluppo della biologia della vita — gli stessi che mettono in discussione la visione di Darwin di un «albero lineare dell’evoluzione» — sembrano ancora più efficaci nel descrivere lo sviluppo tecnologico, fatto di continue ibridazioni e sovrapposizioni: la motocicletta altro non è che l’innesto del motore nella bicicletta, come, venendo ai nostri giorni, il bike sharing è la fusione tra trasformazione digitale, due ruote e telecomunicazioni. Un altro esempio di adattamento, non l’ultimo. Mobilità, genetica e telecomunicazioni. Pensiamo di essere i figli del Novecento, ma siamo in realtà i figli dell’Ottocento, quel secolo in cui con Drais, Darwin e Antonio Meucci, lasciammo i cavalli per salire su una bicicletta, un gene e un telefono, senza lasciarli più. Per inciso, riprendendo il ragionamento di Butler, non è una forma di «coscienza meccanica» quella che permette alle biciclette in condivisione di segnalarci, attraverso le applicazioni, dove sono e quanto distano da noi? Forse siamo solo noi che trasferiamo il nostro darwinismo alla tecnologia. Ma non possiamo escludere che in questo passaggio una sorta di biologia delle macchine possa prendere forma.


Did you know that ... The secret of the Darwinian evolution of machines is a bicycle?

At the London Science Museum it is possible to admire the original Rover safety bicycle from 1885, the first modern bicycle substantially identical to those in common use still today. Thanks to the advertisements of the time, we also know the price: twelve pounds (about 1,500 pounds today discounting with the cost of living but, in reality, much more considering the distribution of wealth). Rover, the same company that produces cars, thus began its history, even if the very idea of ​​bicycle, apart from the nomenclature, was born well before, in 1817. The development of the bicycle had already reached its first maturity with several leaps technological. And the chronicles of the time allow us to talk about a first commercial boom already in the sixties and seventies of the nineteenth century. But it is interesting to analyze what happened to the so-called "penny-farthing", those bicycles with a very small rear wheel and an abnormal front wheel (the name comes from the comparison with the two English coins, the penny and the tiny farthing coin of the time ). In fact, using the language of biology, they were specimens of the same species: two wheels in axis, the same function and even the same technology, that of the pedals, added by Michaux et Cie in 1861. Yet within a very short time, only one generation commercial, "penny-farthing" literally went extinct. The name of the first modern bicycle, safety bicycle, a clever marketing gimmick, explains why.

Previous examples of the bicycle species were not only inefficient, but also extremely dangerous. Accidents were a daily occupation of journalists of the time. The chronicles and city debates often dealt with it. In 1869, Count Giulio Belinzaghi, at the time mayor of Milan, prohibited its use within the circle of the Navigli. The "steel mounts", copyright of the newspapers of the time, frightened and injured pedestrians. We do not know if Charles Darwin (1809-1882) ever saw a bicycle live. But Darwin's bicycle exists: it is that of technological evolution. A contemporary of the Cambridge naturalist had also noticed this: Samuel Butler. Hidden under the pseudonym of Cellarius, Butler was the author of the article "Darwin among the machines", published in 1863 in the New Zealand newspaper The Press, only four years after the publication of "The origin of species "(1859). The passages, later developed for the anonymous book "Erewhon" (the same letters as Nowhere, nowhere), still appear disturbing today for the ability to anticipate debates, so much so that one should consider the reasoned re-edition: "We refer to the question : What kind of creature is likely to be man's next successor in Earth supremacy? We have often heard of it, but it seems to us that we are creating our successors ourselves, (...) we give them greater power every day and we provide with all sorts of ingenious devices that self-regulating and self-acting power which will be for them what the intellect was for the human race. In the course of the centuries we will find the inferior race ». Again in this text, Butler also anticipates the hypothesis that, thanks to the Darwinian process, machines can develop their own consciousness over time and reproduce themselves.

Butler's own history and reasoning actually implode in a violent Luddism, so much so that "Erewhon" is a world where all the machines of the "last 300 years" have been destroyed and the reflection on the need to block the singularity ante litteram, that is the overcoming the machine species on the human species, is discovered by the protagonist in an old book called "Book of the machines" (a book within a book, a classic writer's trick). Furthermore, according to some critics, Butler's work is a masked parody of the Victorian era and the faith placed in the industrial revolution. This does not detract from the author's happy intuition of using evolutionism as an interpretative key of technological development. From the abacus to supercomputers and the current results of machine learning, the temptation to rely on technological Darwinism is high. From smoke signals to the Internet, the suggestions appear endless. But if the application of this scheme appears fascinating in the case of artificial intelligence - where, however, there is the danger that the debate is more emotional than scientific - its effectiveness is clearer and less at risk of ideologisms precisely with the history of two wheels. The bicycle is an example of continuous adaptation and subspecies that die while others emerge, passing on their own "genetic" superiority.
Invented, as is well known, by Count Drais in 1817 (an example of brilliant "applied research"), the bike faced its first leap in species in 1861 with Pierre Michaux, a French blacksmith who had the intuition to add pedals. The old draisine, which still required a tiring and unprofitable use of the thrust of the legs as a direct driving force, thus set off towards rapid extinction, remaining only as a toy for children. The penny-farthing model caused the medium's first real boom. Until the arrival of the Rover model which, thanks to the chain transmission, no longer required a huge wheel to increase the distance traveled with each full revolution of the pedal. Another leap of the car came with the introduction of the brake. It seems that the Wright brothers invented the coaster pedal: Orville and Wilbur had opened a bicycle shop in Dayton, the Wright Cycle Company. And it's not without foundation to say that their engagement with bicycle mechanics also influenced the experiments on early flights. If we analyze the historical scheme of technological progress, what emerges, as a further point of contact with biology, is the proceeding by continuous slowdowns and accelerations (development of an idea, explosion of problems that limit its diffusion, non-linear introduction of solution thanks to "neural or innovation buttons", typically the multidisciplinary meeting of several technologies, as in the case of the pedals that already existed and which can also be found in the drawings of Leonardo da Vinci. Or as in the case, precisely , of the button that meets the buttonhole, becoming a perfect technology still today).

On the other hand, even the most recent studies by the American scientist Carl Woese on archaea and on the horizontal transmission of genes in the development of the biology of life - the same ones that question Darwin's vision of a "linear tree of evolution" - seem even more effective in describing technological development, made up of continuous hybridizations and overlapping: the motorcycle is nothing more than the coupling of the engine into the bicycle, as, coming to our days, bike sharing is the fusion between digital transformation, two wheels and telecommunications. Another example of adaptation, not the last. Mobility, genetics and telecommunications. We think we are the children of the twentieth century, but we are actually the children of the nineteenth century, that century in which with Drais, Darwin and Antonio Meucci, we left the horses to get on a bicycle, a gene and a telephone, without leaving them anymore. Incidentally, taking up Butler's reasoning, isn't it a form of "mechanical consciousness" that allows shared bicycles to signal to us, through applications, where they are and how far away they are from us? Maybe it's just us who are transferring our Darwinism to technology. But we cannot exclude that in this passage a kind of machine biology may take shape.



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