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sabato 15 novembre 2025

Tre uomini a zonzo

 Tre uomini a zonzo” è il racconto di un viaggio in bicicletta attraverso la Germania, ma è anche una finestra su un’epoca in cui la bicicletta rappresentava molto più di un semplice mezzo di trasporto.

Come ricorda Carlton Reid nel suo saggio “Le strade non sono state costruite per le auto”, la bicicletta conobbe un periodo di straordinaria diffusione in Europa tra il 1860 e il 1960. Negli Stati Uniti, invece, la sua età d’oro si concluse prima, intorno agli anni Venti, a causa della diffusione anticipata dell’automobile.
La bicicletta fu, a tutti gli effetti, il primo veicolo privato di massa, anticipando di circa trent’anni l’invenzione dell’automobile di Karl Benz (che, curiosamente, era in realtà un triciclo a motore).

Grazie alla bicicletta, per la prima volta nella storia, furono possibili due fenomeni che oggi attribuiamo erroneamente solo all’automobile:

  • Il pendolarismo a distanza: la bicicletta fu il primo mezzo privato che permise ai lavoratori di vivere lontano dal luogo di lavoro — 5 km a piedi richiedevano un’ora di cammino, in bici bastavano meno di 30 minuti (un tempo, peraltro, spesso non molto diverso da quello attuale in auto, tra traffico e parcheggio).

  • Il turismo, inteso sia come gita domenicale fuori porta — al mare, al lago o lungo un fiume — sia come viaggio a tappe, precursore del moderno cicloturismo, proprio come quello descritto nel libro.

“Tre uomini a zonzo” racconta dunque un viaggio che, senza la bicicletta, sarebbe stato impensabile per dei piccoli borghesi come Jerome e i suoi due amici, almeno fino all’avvento delle automobili di massa nel secondo dopoguerra.

In queste pagine si scopre che viaggiare in bicicletta era normale, e altrettanto normale era trovare servizi che oggi, in Italia, sembrano quasi fantascienza per via di ostacoli burocratici e organizzativi:

  • Spedire la propria bicicletta in treno.

  • Portarla con sé durante il viaggio ferroviario.

  • Inviare i bagagli da un albergo all’altro, trovandoli puntualmente all’arrivo — tutto questo senza automobili, furgoni o corrieri espresso.

Per chi si occupa oggi di cicloturismo, è sorprendente scoprire quanto fosse semplice e naturale integrare bici e treno nella Germania del primo Novecento, rispetto alle difficoltà che ancora oggi incontriamo in Italia, dove i regolamenti spesso variano da linea a linea, vengono applicati in modo arbitrario o dipendono dalla discrezionalità del singolo capotreno.


This is the story of a bicycle journey across Germany — and a glimpse into a time when the bicycle was much more than a means of transport.

As Carlton Reid reminds us in “Roads Were Not Built for Cars”, the bicycle experienced an extraordinary boom in Europe from around 1860 to 1960. In the United States, its golden age ended earlier, in the 1920s, as the automobile became widespread some thirty years sooner than in Europe.
The bicycle was, in fact, the first mass private vehicle, predating Karl Benz’s invention of the automobile (which, ironically, was actually a motorized tricycle).

Thanks to the bicycle, two social revolutions became possible for the first time — phenomena we now wrongly associate only with the car:

  • Commuting over distance: the bicycle was the first personal vehicle that allowed workers to live several kilometers away from their workplace — 5 km that once took an hour on foot could be covered in less than 30 minutes by bike (a time not far from what many endure today by car, once traffic and parking are considered).

  • Tourism, both as a leisurely Sunday outing — to the countryside, the river, the lake, or the sea — and as a multi-day cycling trip, just like the one described in the book.

“Three Men on the Bummel” recounts a journey that, without the bicycle, would have been impossible for middle-class men like Jerome and his two friends — at least until the rise of affordable mass-produced cars in the post-war years.

The book reveals that travelling by bicycle was once perfectly normal, and so were services that today, in countries like Italy, might sound like science fiction due to bureaucratic and logistical barriers:

  • Shipping your bicycle by train.

  • Taking your bike with you onboard.

  • Sending your luggage ahead from one hotel to the next, finding it ready on arrival — all of it without cars, vans, or couriers.

For anyone involved in cycle tourism today, it’s fascinating — and a little disheartening — to realize how easily bikes and trains coexisted in early 20th-century Germany, compared to modern Italy, where carrying a bike on a train can still depend on complicated rules, limited routes, or even the goodwill of the train conductor.

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